INTRODUZIONE
Cuba, terra della musica, dello zucchero e del rum. A Miami e a New York, i manifesti multicolori di propaganda promettevano delizie al turista statunitense. Palme, spiagge, sole; rumba, carnevali, alcool. Tamburi suonati da negri, riti di magia nera, donne bianche e negre. Con un sorriso di complicita', al visitatore veniva garantito un "sicuro effetto afrodisiaco" quando, al tramonto, sarebbe giunto a Cuba, la perla dei Caraibi: e tutto questo ben di Dio era in vendita, tutto compreso nel prezzo fissato dalle agenzie turistiche.
Venne un giorno in cui i manifesti multicolori furono violentemente strappati e si pote' vedere chiaramente che cosa nascondessero in realta'. Effetto afrodisiaco... In effetti, piu' che di un composto magico, si trattava del prodotto finale di una industria assai redditizia: la prostituzione. All'Avana, erano diecimila le donne che esercitavano quel mestiere; e ogni giorno, puntualmente il capo della polizia incassava ia sua percentuale. Ma questo era solo, a ben guardare, un particolare di un quadro piu ampio, un tempo occultato dai manifesti variopinti.
All'epoca, un cubano su tre era analfabeta; un cubano su due a godeva di un reddito annuo medio di 100-150 dollari. Negli anni '50, stando all'UNESCO, Cuba apparteneva a un gruppo di paesi il cui reddito medio pro capite oscillava tra i 300 e i 499 dollari l'anno. Tuttavia, tra il senor Julio Lobo, re dello zucchero, o il senor Emilio Bacardi', re del rum, situati al vertice della piramide sociale, e la base di questa, costituita dagli strati piu poveri della popolazione, la distanza era piuttosto notevole: al punto che, come si e detto, uno su due cubani a "godeva" di un reddito che non superava i 100-150 dollari all'anno. Ma era non tanto nella capitale dell'isola, L'Avana, quanto nelle zone rurali, che si poteva toccar davvero con mano l'entita' della disuguaglianza sociale. Prendiamo a esempio la produzione agricola, fondamentale, la canna da zucchero. Il 41,9% delle piantagiom era proprieta di sei grandi aziende; e, secondo un inchiesta condotta nel 1957 dalla, Agrupaci&0graven Catòlica Universitaria, su dieci cubani appartenenti alla popolazione rurale meno di due consumavano carne. Latifondo da un lato, miseria dall'altra: quest'era la Cuba che i turisti nordamericani non avevano mai avuto modo di conoscere.
E non era ancora tutto. Uno su quattro cubani appartenenti alla popolazione attiva era soggetto al tiempo muerto, il tempo morto, com'era chiamata la disoccupazione ciclica che, ogni anno, bussava all'uscio del lavoratore. Perche', finito il raccolto della canna da zucchero il problema diventava: che fare? Per tre mesi, tutti avevano da lavorare, I'economia agricola basata sul latifondo richiedeva braccia e ancora braccia; ma il periodo finiva, e quindi cominciava il tiempo muerto. A1cuni riuscivano a trovare un altro lavoro come addetti alla manutenzione del terreno oppure presso le distillerie. La maggior parte, tuttavia, era costretta ad andarsene. Nelle citta era possibile trovare solo occupazioni occasionaIi, e c'era all'epoca chi pFeferiva rifugiarsi sulle montagne piu vicine, tra cui la Sierra Maestra nella provincia di Oriente.
Qualcuno, ancora, trovava itmpiego in altre attivita' di raccolta collettiva, come quella del caffe; altri tentavano di cavare faticosamente di che vivere da un minuscolo appezzamento di rerra che poteva permettere al piu' un'economia di sussistenza. Occupavano terre che non erano di loro fproprieta', a volte tollerati dal latifondista o dal contadino ricco, altre espulsi seduta stante. I piu' fortunati tra questi riuscivano a volte a trasformarsi in precaristas, vale a dire piccoli coltivatori diretti "precari", senza alcun diritto legale, che zappavano terre marginali, frazioni di ettaro lungo questo o quel pendio montano. Ma anche queste, a conti fatti, davano ben scarso reddito, mentre le bocche da sfamare erano tante. E c'era chi, in mancanza di altri mezzi di sussistenza, si costruiva un bohìo, la dimora della popolazione rurale precaria, addirittura ai margini delle strade. Tutti costoro rientravano nel novero dei tipici campesinos, piccolissimi proprietari o fittavoli costretti a rinnovare il contratto di anno in anno. E su tutti, in un modo o nell'altro, si proiettava l'ombra del taglio della canna, e non solo perche' era facile incontrare tra loro il bracciante agricolo stagionale che il tiempo muerto aveva costretto a mettere radici su un fazzoletto di terra, ma anche perche', a rigor di termini, i legami con la calia non erano mai sciolti del tutto. E, se non il capofamiglia, almeno i suoi figli (che potevano essere cinque o dieci) spesso erano travolti dal circolo vizioso del tiempo muerto. Erano troppi per poter essere assunti stabilmente in una piccola piantagione di caffe'; ma, se le braccia erano in eccesso, non era certo troppo quello che riuscivano a mettere sotto i denti. Quest'era dunque Cuba: un paese di cui era per lo meno difficile affermare che godesse di buona salute. Ma si trattava di una repubblica, e come tale avrebbe dovuto godere per lo neno dell'indilpendenza. E che faceva il governo suppostamente indipendente dell'isola per porre rimedio ai mali di questa? Si, era ancora vivo il ricordo del tentativo, compiuto negli anni '30 da un gruppo di civili sotto la guida di Antonio Guiteras, di creare un governo popolare che dopo quattro mesi fu pero abbattuto da un golpe militare, organizzato da Fulgencio Battista. Da allora, la maggior parte dei c omponenti la popolazione civile aveva fatto tesoro della lezione, e anche i borghesi giocavano al colpo di stato. Era insomma il tipico meccanismo politico operante, all'epoca, nella maggior parte dei paesi centro e sudamericani. Inutile dire che gli unici a disporre di una forza effettiva erano i militari; ma i governi da essi costituiti avevano un difetto, ed era che, dopo un certo periodo, finivano per irritare e stancare; sicche' i militari si prendevano una vacanza, e lasciavano che fossero i civili a occupare le poltrone governative, fino al prossimo colpo di stato. In attesa di questo, preferivano lasciare che a sbrogliarsela fossero i civili i quali, a parole, possedevano un programma-panacea universale. E quando poi il programma si riduceva a carta straccia, e con esso svanivano le illusioni, i militari tornavano a ristabilire l'ordine, fino al giorno in cui i loro metodi di governo avessero esasperato la gente, e cosi di seguito.
ESPLOSIONE
Il processo rivoluzionario mise fine a questo gioco di bussolotti. Esso ebbe inizio, quasi due decenni or sono, con l'assalto alla caserma Moncada a Santiago, capoluogo della provincia di Oriente, avvenuto il 26 luglio 1953. A guidare i rivoltosi era Fidel Castro. Il piano prevedeva la conquista delle armi custodite presso quella caserma (e presso un'altra, piu piccola), per poi consegnarle al popolo e dare il via immediatamente all'insurrezione armata. Centosettanta giovani, che all'alba di quello stesso giorno si erano raccolti in un finto"allevamento di polli" , ascoltarono la allocuzione di Fidel: "Compagni ", disse questi, "tra qualche ora sarete vittoriosi o sconfitti. Ma in ogni casoÑe fate bene attenzione a quello che vi dico, compagni! Ñ in ogni caso il nostro movimento finira' per trionfare. Se domani sarete vittoriosi, si potra' realizzare piu' in fretta quello cui aspirava Marti'". Un istante prima di dare il via all'azione, Fidel evocava dunque quelli che, per un cubano, erano i ricordi piu cari. Neppure jose martì', eroe della guerra di indipendenza, per quanto fosse un civile e non un militare, aveva esitato quando s'era trattato di scendere in campo e di affrontare la morte. Le sue idee, tra le piu avanzate all'epoca in cui era vissuto, verso la fine del XIX secolo, continuavano a ispirare quei giovani nei quali, oltre all'aspirazione alla liberta, fermentava l'anelito alla piena indipendenza nazionale, il compito che Marti' aveva lasciato a mezzo. Piu vicino nel tempo, un altro esempio li incitava all'azione, quello di Eduardo Chibas il leader che, nerrwento di impartire dina mismo all'azione sociale, nel 1951 si era suicidato in maniera spettacolare davanti ai microfoni della radio. Alla corruzione dei governanti e ai maneggi elettorali, Chibas, munito di una simbolica scopa, opponeva una parola d'ordine immutabile: a Dignita contro denaro ¥. La sua scomparsa non aveva pero impedito al suo programma di conservare piena attualita, ed ora esso imponeva ai giovani di riunirsi nelle prime ore di quel 26 luglio, di affrontare altrettanto coraggiosamente la morte, se questa era utile al trionfo delle loro idee. L'assalto alla caserma Moncada non riusci', ma fu comunque un'esplosione sufficiente a innescare un pro ces so rivoluzionario. Benche allepoca non sussistessero condizioni tali da permettere il passaggio diretto all'insurrezione generale, la giornata del 26 luglio 1953 rivelo chiaramente qual era la via che a essa avrebbe condotto: la lotta armata.
FULGENCIO BATISTA
Per i nordamericani, manifesti policromi; per i cubani, il meccanismo politico dei colpi di stato. Tra questi due estremi, come abbiamo visto, si collocavano i grandi problemi irrisolti dell'isola. C'era però anche un terzo piano: di là dalla miseria e dal tiempo muerto, dall'analfabetismo e dalla corruzione, era possibile scorgere qualcosa d'altro, le conseguenze di quel che era avvenuto alla fine del secolo, quando gli Stati Uniti avevano occupato militarmente l'isola obbligando tutta quanta la popolazione a dedicarsi alla produzione dello zucchero di cui i primi avevano bisogno. Zucchero, sempre zucchero, null'altro che zucchero: e Cuba si trasformò in un paese di monocoltura, senza mai avere il tempo e il modo di industrializzarsi. La conseguenza era che qualsiasi manufatto doveva essere acquistato all'estero. Con quali divise? Quelle ricavate dall'esportazione dello zucchero, quasi completamente indirizzata verso gli Stati Uniti. Sicché, quanto più era lo zucchero cubano acquistato dagli Stati Uniti, tanto maggiore era la quantità di beni di consumo che a sua volta Cuba poteva acquistare negli Stati Uniti, dalle Cadillac agli alimenti in scatola.Per una cinquantina d'anni, il sistema parve funzionare più o meno bene. Ma, negli anni '50 si verificò un intoppo.
Il governo cubano decise di limitare la produzione di zucchero, in ragione delle restrizioni poste alle vendite all'estero: il mercato nordamericano preferiva lo zucchero prodotto localmente, dai coltivatori statunitensi di barbabietole. Tuttavia, se la produzione cubana doveva per forza di cose venire ridotta (e con essa le importazioni, poiché, come si é visto, dipendevano strettamente dal volume delle esportazioni), la sua popolazione continuava a crescere. La conseguenza era che, restando uguale la quantità dei beni di consumo, questi dovevano essere distribuiti a un numero di individui di anno in anno maggiore; e di pari passo con l'incremento demografico aumentavano i mali tradizionali dell'isola i quali, lungi dal trovar soluzione, peggioravano progressivamente.Ma v'era chi "vegliava" per i cubani. Gli Stati Uniti, che come si é detto alla fine del secolo scorso avevano costretto l'isola a produrre quasi null'altro che zucchero, ora proponevano una soluzione politica ai suoi problemi economici, e la soluzione aveva un nome proprio, quello di Fulgencio Batista. In realtà, si trattava di null'altro che di una nuova versione dei colpi di stato in serie, con funzioni preventive, caratteristici dell'America centrale e meridionale. Se erano inattuali i governi militari, altrettanto lo erano le coalizioni civili classiche, da un lato prive ormai di prestigio, dall'altro incapaci di frenare il malcontento in rapida ascesa, di convincere i cubani che miseria, tiempo muerto, analfabetismo, prostituzione erano mali inevitabili; che inoltre dovevano rassegnarsi alla riduzione delle proprie entrate e che, infine, la monocoltura e il latifondo, lungi dall'essere anomalie economiche, erano un destino. Era dunque indubbiamente suonata l'ora di sostituire anche le coalizioni civili con quello che, da quasi due decenni, era l'uomo forte dell'isola, Fulgencio Batista, a proposito del quale Arthur Gardner, per quattro anni ambasciatore degli Stati Uniti all'Avana, affermava che "non abbiamo mai avuto un amico migliore". Ma chi era Fulgencio Batista agli occhi dei cubani? Un sergente che, negli anni '30, si era schierato sotto la bandiera del nazionalismo (cosa che, all'epoca, comportava un impegno politico e sociale avanzato), per quindi rinnegarlo; e che, negli anni '40, divenuto nel frattempo generale, aveva governato sotto etichetta liberale nella congiuntura della seconda guerra mondiale. Negli anni '50, senatore, col sostegno dei militari aveva imposto al paese la propria dittatura. Era cresciuto alla scuola di un esercito di carriera, i cui componenti, dal generale all'ultimo soldato, erano uniti, per la vita e per la morte, dallo stesso legame: il salario sicuro, la possibilità di carriera, la pensione, i vantaggi economici della casta. Fulgencio Batista, il sergente che, nella sua parentesi nazionalista degli anni '30, era riuscito a farsi nominare colonnello, questo singolare self-made man castrense, divenne ben presto il capo di un siffatto esercito. E si trattava d un uomo venuto dal niente: suo padre aveva lavorato alla zafra , il taglio della canna. Un elemento questo che, in terra cubana, dove vivissima era la tradizione delle lotte operaie, di eccezionale vigore rispetto al contesto centroamericano, aveva una certa importanza. E per soprammercato, figlio di un paese in cui così forte é la minoranza negra, Fulgencio Batista era mulatto. II personaggio pareva fatto su misura per le necessità storiche, degli anni '50. Il colpo di stato da lui organizzato non urto contro nessuna resistenza degna di tal nome; e la sua dittatura si iniziò proponendosi come obiettivo quello di indurre i cubani a rassegnarsi ai mali di sempre, di far loro pagare le conseguenza della crisi zuccheriera, di portare Cuba a schierarsi fianco a fianco agli USA sul terreno della guerra fredda. Non tutti i cubani chinarono il capo. La protesta andò anzi crescendo in vigore; e un bel giorno si verificò l'esplosione rivoluzionaria, l'assalto alla caserma Moncada. Quale fu la reazione di Fulgencio Batista? Servendosi dell'esercito, schiacciò i rivoltosi e la maggior parte dei giovani che avevano partecipato all'azione caddero prigionieri; per parecchi giorni furono torturati e quindi sommariamente giustiziati. La risposta repressiva data dalla dittatura non era soltanto inumana: essa non era neppure in rapporto proporzionale con l'impresa tentata da quei centosettanta giovani armati di doppiette più adatte a uccidere passeri. Il fatto che, non appena iniziata, la impresa fosse andata incontro al fallimento, i suoi moventi romanticheggianti, e il fatto ancora che neppure per un istante era stata messa in forse la stabilità del governo, al quale le truppe erano rimaste fedeli, erano tutti elementi che avrebbero dovuto indurre alla clemenza. Ma Fulgencio Batista non era certo andato al potere per mostrarsi clemente. Alterò i fatti, accusò i giovani di aver assassinato dei soldati, credendo con ciò di avere il pretesto per infliggere un castigo esemplare. E tutti coloro i quali si levavano a protestare, che scendevano in sciopero, che partecipavano a manifestazioni di strada o alla lotta armata, che aspiravano a uscire dall'asfissiante atmosfera economica della monocoltura, sapessero bene a cosa andavano incontro! E, dal suo punto di vista, il dittatore aveva ragione. Date le condizioni economiche in cui versava l'isola, ulteriormente aggravate dalla guerra fredda, c'era un solo modo di continuare a governare secondo la tradizione: ricorrere al terrore. //
FIDEL CASTRO
Il terrore... Abbagliati dai manifesti multicolori, i turisti nordamericani, che affluivano alla terra della musica, dello zucchero e del rum, non si avvedevano della sua esistenza. Ma, come abbiamo detto all'inizio, giunse il giorno in cui i manifesti in questione furono violentemente strappati, e ciò si verifico al momento dell'esplosione rivoluzionaria, l'assalto alla caserma Moncada. All'epoca, Cuba era anche questo: il massacro di prigionieri inermi. Fidel Castro, che aveva guidato il fallito assalto, fu sottoposto a processo. Ma a trovarsi sul banco degli imputati, non fu lui, bensì la dittatura; e, insieme a questa la miseria, il tiempo muerto, l'analfabetismo, la corruzione. Perché Fidel ignorò i capi d'accusa e espose invece un programma rivoluzionario, quello contenuto nel testo della sua autodifesa, divenuta in seguito celebre col titolo La storia mi assolverà . Condannato a sedici anni di detenzione, dopo ventun mesi una memorabile campagna, pacifica e di massa, che segnò una tregua nella lotta armata e una fase di stanca del terrorismo repressivo, lo riportò in libertà. Fidel Castro, il rampollo di una famiglia di agrari, il dirigente universitario di cui era ancora vivo il ricordo, il giovane avvocato più impegnato a far politica che a procurarsi cause, approfittò dei mesi trascorsi dietro le sbarre per completare la sua formazione culturale, leggendo Martì, Marx, Lenin. Nonostante tali letture, Fidel conservava ancora le convinzioni religiose che gli erano state impartite durante l'infanzia. Toccò comunque con mano una realtà: nel contesto della guerra fredda, le idee marxiste che ora tanto lo attraevano urtavano contro tenaci resistenze persino tra le masse popolari urbane. Così, mentre i comunisti ideologicamente si battevano con l'avversario, assaltandolo frontalmente, Fidel decise che conveniva tentare una manovra aggirante, passando per la strada del nazionalismo avanzato, una copertura grazie alla quale avrebbe potuto imporre, sotto un'altra veste, quelle soluzioni marxiste che riteneva necessarie alla realtà cubana. Inoltre il "nationalismo" faceva appello allo spirito che animava i suoi compagni. Ed é tipico di Fidel, lo stratega politico, l'intellettuale, il leader sempre in prima linea, l'aver scelto una soluzione del genere.Liberato dal carcere, Fidel é costretto all'esilio, ed eccolo in Messico intento a preparare l'invasione d Cuba. Gli sono accanto Camilo Cienfuegos, di cui avremo modo di occuparci più avanti, Raul Castro suo fratello minore, ed Ernesto Guevara, l'argentino soprannominato dai compagni "il che", dall'interiezione di cui faceva così frequente uso, del resto diffusissima in Argentina, e che significa "Ehi, senti !". E giunse anche Frank Paìs, capo della resistenza nella provincia di Oriente: non per partecipare alla spedizione, ma per coordinare le azioni da condurre a Cuba in appoggio allo sbarco. A un certo punto, la polizia messicana trae in arresto Fidel a causa delle sue attività insurrezionali; si interessa a lui Teresa Casuso, una cubana che da parecchio tempo vive all estero. "Sono andata a trovarlo in carcere -riferisce Teresa- ...al momento del congedo gli ho offerto la mia casa, aggiungendo la solita frase fatta: "Ricordati che in me hai un'amica". Solo che con Fidel Castro non sono cose che si dicono per semplice cortesia: due giorni dopo era in libertà e, un'ora più tardi, se ne stava seduto sul divano del mio soggiorno. Un sofà che, dopo tre notti, era ormai il suo letto... E come se non bastasse, il piano superiore di casa mia si andava trasformando in un arsenale pieno di armi e munizioni." Così era fatto Fidel, quest'uomo dotato di una straordinaria capacità di coagulare attorno a sé le volontà, di suscitare la fede in imprese apparentemente impossibili. 1956. Un panfilo, il Granma, salpa dal Messico con a bordo gli uomini che dovranno invadere Cuba. Sono ottantadue, un numero che supera di parecchio la portata effettiva del panfilo. Un guscio di noce in mezzo al mare: quale impresa potrebbe sembrare più impossibile? Si direbbe che la storia, per raggiungere i propri fini, ricorra all'ironia: il guscio di noce, che nessuno prenderebbe sul serio, trasporta in realtà il detonatore che innescherà la carica destinata a sconvolgere in breve tempo l'isola intera. E l'astuzia sembra il segno sotto cui si svolge anche il gioco tra Fidel, il rivoluzionario, e Fulgencio Batista, il controrivoluzionario. Necessità demagogiche avevano imposto il governo di quest'ultimo, il mulatto figlio di proletari, le necessità di una rivoluzione che avrebbe avuto luogo a centottanta chilometri dagli Stati Uniti imposero che a esserne il protagonista fosse il rampollo di una famiglia di agrari, gente religiosa, che aveva frequentato l'università dei ricchi. Stando al copione storico tradizionale, Fidel risultava del tutto insospettabile, date appunto le sue origini. Egli però stava subendo un processo di maturazione ideologica, le cui conseguenze ultime per il momento nessuno avrebbe potuto prevedere. E fu così che, qualche anno dopo Fidel si sentì autorizzato ad afferrare "possibile che, all'epoca, io sia apparso meno radicale di quanto fossi in realtà. Ma é anche possibile che fossi meno radicale di quanto io stesso non credessi". E' certo comunque che a Cuba, a centottanta km dagli USA, la storia stava per giungere a una svolta.
UN GIOVANE LAVORATORE " CAMILLO CIENFUEGOS"
Camilo Cienfuegos conta ventiquattro anni quando giunge in Messico per partecipare alla spedizione del Granma. E' una età che corrisponde a quella media dei suoi compagni: Camilo e più giovane di Fidel e del Che, ma più vecchio di Raul Castro e di Frank Paìs. Due anni più tardi, trasformato in barbuto e in leggendario capo guerrigliero, entrerà all'Avana alla testa delle colonne dell'esercito ribelle, al fianco del Che. Per il momento, Camilo Cienfuegos é un giovane come tanti altri, mosso dal patriottismo e dallo spirito di avventura. La lotta farà di lui un leader, ma adesso egli non é che un semplice volontario. Tale, per lo meno, può sembrare.
Certi particolari sulla sua biografia e gli aneddoti che corrono sul suo conto ci dicono però qualche cosa di più. Un mattino all'alba, poco dopo il golpe di Fulgencio Batista, in casa dei genitori, con i quali all'epoca Camilo viveva, era comparso un cane randagio; e Camilo lo aveva adottato come prima altri cani, battezzandolo Fulgencio: gli era parso che fosse il nome più adatto per un bastardo. Gli é che, in quella casa, la politica era pane quotidiano. Il padre di Camilo, Ramòn, uno spagnolo, era stato attivista sindacale della Uniòn de Operarios Sastres (Unione dei lavoratori di sartoria) e qualche anno prima aveva pubblicato un manifesto dal titolo incendiario La rivoluciòn rusa si extenderà por el mundo (la rivoluzione russa si estenderà a tutto il mondo). In seguito, durante la guerra civile spagnola, Camilo, ancora bambino, aveva spesso accompagnato il padre durante le sue collette per la raccolta di fondi.Buon narratore, amante degli animali, audace e pronto ad affrontare qualsiasi rischio, animato da un profondo senso dell'amicizia, Camilo mancava però di una virtù, la disciplina. All'epoca, tuttavia, poteva sostituirla con lo spirito d'avventura. Operaio come suo padre, un giorno aveva deciso di andare negli Stati Uniti.
Lì aveva fatto i lavori più svariati, nessuno dei quali stabile. Ma un bel giorno il cubano emigrato avverte "un gelo da spaccare il cuore a chiunque", e ritorna in patria. La distanza gli ha permesso di rendersi conto ,dei mutamenti intervenuti. E' partito con Batista al potere; tornato, ritrovava ancora Batista al suo posto: con la differenza che l'ex sergente ha ormai dato fondo a tutti i suoi trucchi demagogici, mostrando apertamente il ceffo del dittatore. "Sono certo, -scrive Camilo a un amico nel 1956- che se tu fossi a Cuba resteresti sbalordito delle cose che qui avvengono. I soprusi sono tali, che solo chi ne é testimone può convincersi della loro realtà". La lotta per le strade, le manifestazioni che, nelle città, si sono trasformate in aperta protesta, lo coinvolgono, e Camilo finisce una volta in carcere e un'altra all'ospedale. In quel torno di tempo, gli capita un'esperienza che non dimenticherà mai più, e la riferisce in una sua lettera: -Fu quando il mio vecchio, travolto dalla tensione e dall'emozione, levò la benda macchiata di sangue con cui mi aveva tamponato la ferita, e disse: "E' il sangue di mio figlio, ma é sangue versato per la rivoluzione"-. Il padre e il figlio, che un tempo avevano raccolto, fianco a fianco, fondi per la guerra civile spagnola, sarebbero ancora proceduti assieme. La tradizione rivoluzionaria non era andata perduta: al pari di tanti altri giovani cubani della sua generazione, Camilo si era assunto la responsabilità di portarla avanti. Non gli fu però concesso di partecipare a lungo, dopo la vittoria sulla dittatura, alla costruzione della sua nuova patria: il 28 ottobre 1959, Camilo Cienfuegos moriva in un incidente aereo. Ma egli continua a vivere nella memoria di un popolo che si riconosce pienamente in colui che, semplice lavoratore, fu esaltato dalla rivoluzione a capo leggendario di un popolo che ha fatto proprio il motto: "C'é stato un Camilo, ci saranno molti Camilo.
LA RIVOLUZIONE AL POTERE
E' difficile che oggi turisti statunitensi mettano piede all'Avana; e se lo fanno, non sono più quelli di un tempo, attratti dagli sgargianti manifesti e dalle allusioni sussurrate. Oggi, i viaggiatori che giungono all'isola sono mossi da un preciso intento, quello di assistere a un esperimento sociale. Non trovano chiasso, le automobili sono poche, le vetrine non traboccano di merci. C'è una sola maniera per affrontare i mali di sempre, la miseria e il tiempo muerto, l'analfabetismo e la corruzione, ed essa é consistita e consiste nell'abolire il privilegio e quindi lavorare, lavorare duramente. L'Avana ha cessato così di essere la Bengodi dei turisti, il luogo dove il piacere e il divertimento non conoscevano soste. Che, giunte al potere, le rivoluzioni debbano fare i conti con una realtà meno rosea di quella sognata dai suoi dirigenti, costituisce forse una regola. Comunque, la rivoluzione cubana presenta una curva di sviluppo senza precedenti. I giovani che, quasi vent'anni fa, parteciparono all'assalto contro la caserma Moncada, credettero di individuare il loro programma nella autodifesa pronunciata da Fidel davanti al tribunale, La storia mi assolverà. Si trattava, come s'è detto, di un programma di nazionalismo avanzato, nel quale facevano spicco la riforma agraria e la nazionalizzazione dei monopoli elettrici e telefonici statunitensi. Il turbine del 1957/58 travolse anche il programma di Fidel. I documenti di quegli anni, e soprattutto le dichiarazioni rese da Fidel alla stampa nordamericana, o non facevano parola o addirittura apertamente revocavano le nazionalizzazioni; la riforma agraria non era dimenticata, ma se ne limitavano gli effetti e l'accento era posto sulle elezioni da convocarsi una volta abbattuta la dittatura. A che cosa si doveva questa mitigazione del programma? Alla necessità di coinvolgere tutte le forze, compresa la grande borghesia zuccheriera, nella battaglia contro Fulgencio Batista. L'ora della ridefinizione dei programmi suonò quando la rivoluzione fu al potere; la grande borghesia zuccheriera l'intendeva a modo suo, e lo stesso facevano gli Stati Uniti; l'esercito ribelle formato da poveri contadini, lavoratori rurali ed urbani, giovani rappresentanti radicalizzati della classe media avevano anch'essi la loro idea della rivoluzione. Le conseguenze sono ben note. Una intera fase venne "saltata" con stupefacente rapidità, accantonando il programma di nazionalismo avanzato esposto ne La Storia mi assolverà. Fu il "grande balzo" degli anni 1959-61: la proprietà terriera venne abolita, i capitali USA espropriati insieme ai possessi della grande borghesia zuccheriera e della borghesia industriale. E lo scontro fu inevitabile, fino al tentativo di invasione organizzato all'estero e del quale il presidente Kennedy si dirtà pubblicamente responsabile: il vano tentativo controrivoluzionario, lo sbarco a Playa Giròn. E venne la crisi cubana, quando l'URSS installò sull'isola rampe di missili nucleari che in un secondo tempo ritirò. E ancora il blocco economico, i sabotaggi, gli incidenti organizzati a partire dalla base navale che gli USA continuano a tenere a Guantanamo, in territorio cubano. In tale contesto, che e virtualmente uno stato dì guerra, risultava difficile pensare alle elezioni; inoltre, da un lato il governo rivoluzionario ereditava dalla struttura politica preesistente uno strumento elettorale viziato in partenza, dall'altro la maggior parte dei politici, benché si fossero lasciati indurre ad affrontare la dittatura, non parevano più disposti a rinnovare l'alleanza con la rivoluzione ora che questa, conquistato il potere, si stava dando un programma degno di lei. E, come un secolo prima avevano fatto i loro colleghi francesi, quando c'era stata la Comune di Parigi, gli uomini politici imitarono i rappresentanti della classe di cui erano dopo tutto i portavoce, la grande borghesia zuccheriera, e se la svignarono alla volta di Miami. E li rimasero. Il biennio 1959-1961 vide compiersi il grande balzo: riforma agraria, nazionalizzazioni, campagna contro l'analfabetismo, il tentativo di invasione a Playa Giròn fatto fallire nel giro di settantadue ore, la proclamazione del carattere socialista della rivoluzione. Fu il "grande balzo", furono le grandi illusioni. Cuba, vetrina del mondo nuovo; Cuba, avanguardia della rivoluzione continentale. Ma alle grandi illusioni non ha fatto seguito la delusione, salvo in coloro che, in buona fede, sognavano la rivoluzione pura e in coloro che sognavano una Cuba contrapposta all'Unione Sovietica. Sull'isola, una presa di coscienza nuova rimpiazzò le illusioni, imponendo l'aperto riconoscimento delle difficolttà e degli errori commessi. Ed é a questo livello che la rivoluzione cubana si integra nel contesto del fenomeno rivoluzionario generale: la realttà impone assai spesso mete più modeste di quelle desiderate o previste dai leader. E ciò spiega i discorsi autocritici di Fidel o quelli da lui pronunciati, verso la fine del 1971, in Cile: discorsi non meno rivoluzionari di quelli a suo tempo fatti dal giovane tutto proteso verso la lotta armata. E' questa, semplicemente, la risposta dell'esistenza stessa, la inappellabile risposta dei fatti. Anche nell'America centrale e meridionale, durante gli anni '60, le illusioni seguirono una strada e i fatti invece ne seguirono un'altra. Un'intera generazione, uscita per lo più dalle fila della classe media, fece proprie quelle aspettative. Si, la rivoluzione cubana costituisce certo un esempio di lotta, non però un modello da esportare. La lezione costò vite di valorosi, tra esse quella dell'argentino che un giorno partì a bordo del Granma deciso a battersi per la liberttà dei cubani, Ernesto Che Guevara. Questo certo non basta a togliere alla rivoluzione cubana l'importanza che le spetta nel processo storico. Da tempo era noto che nell'America centrale e meridionale qualcosa poteva esser fatto. Ma, ahime, i risultati erano stati assai scarsi: la rivoluzione messicana era stata messa in frigorifero, la boliviana s'era risolta con un processo involutivo, la guatemalteca era stata schiacciata. E più di recente, ecco la rivoluzione cubana, che ha inaugurato un nuovo ciclo, nel quale rientrano le esperienze tuttora in corso: il Fronte popolare cileno, i militari nazionalisti di sinistra del Perù, i nuovi atteggiamenti positivi di una serie di paesi del continente nei confronti degli Stati Uniti. E a sua volta la rivoluzione cubana rivela tratti singolari, inediti, per la maniera con cui si inserisce nel processo rivoluzionario contemporaneo dal punto di vista geografico, dal momento che non ha frontiere in comune con nessun altro paese socialista, e insieme, storico, perché non trae origine, né direttamente né indirettamente dalla congiuntura di una guerra mondiale, e infine ideologico perché affonda radici nel nazionalismo. Ecco, questa é Cuba, la prima repubblica socialista dell'America.